La Milano del buon gusto/Primi e piatti unici
SOMMARIO
Oggi il risotto alla milanese è famoso in tutto il mondo. Ma a quando risalgono le sue origini? E come arrivò a Milano? Le ricette della tradizione culinaria della città vantano radici molto antiche. E attorno ad alcune di esse alleggiano addirittura leggende centenarie. Come quella del risotto allo zafferano che sarebbe nato (per scherzo) nel XVI secolo
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La Milano del buon gusto/Primi e piatti unici
Mentre era governatore della Cisalpina dal 59 al 55 a.C., Giulio Cesare insieme con i suoi generali fu ospite del ricco milanese Valerio Leone. Tra le portate, ci racconta Plutarco, vennero serviti asparagi conditi con il burro. I generali abituati a utilizzare il burro come unguento (a Roma si condiva con l’olio) considerarono la pietanza immangiabile. Giulio Cesare al contrario gradì gli asparagi e condì il tutto con la tramandata frase de gustibus non disputandum est (non si può discutere sui gusti personali). Più avanti nei secoli sappiamo che i Longobardi erano dei buongustai. Nel Medioevo e poi nel Rinascimento i nobili e i signori di Milano organizzavano banchetti sontuosi: famoso quello di Napo Torriani in piazza sant’Ambrogio per l’ingresso del papa Innocenzo IV nel 1261 e quello organizzato per le nozze di Bianca Maria Visconti con Francesco Sforza. Insomma a Milano la tradizione della buona tavola e l’arte del cibo hanno origini antiche.
La leggenda di Zafferano
Molte sono le leggende sulla nascita del risotto alla milanese con lo zafferano. La più accreditata ha per protagonista un discepolo del Maestro vetraio Valerio di Fiandra, giunto a Milano nel XVI secolo per lavorare alla fabbrica del Duomo. Il ragazzo di bottega per ottenere colori vivaci per colorare le vetrate della cattedrale pare usasse molto zafferano tanto da essersi guadagnato il soprannome di “Zafferano”. Il giorno del suo matrimonio con la figlia del Maestro, i suoi amici per fargli uno scherzo colorarono il risotto di giallo aggiungendo dello zafferano. Il riso giallo piacque così tanto che ben presto tutta Milano colorava i risotti di giallo… Questa la leggenda.
Il risotto alla milanese
In realtà è probabile che il risotto alla milanese sia il diretto discendente del “riso col zafran” una ricetta diffusa nel Medioevo tra arabi ed ebrei che utilizzava riso pilaff e zafferano. Il riso giallo poi compare nel trattato sulla gastronomia, edito nel 1570, dell’umanista Bartolomeo Scappi, cuoco personale di papa Pio V. Egli descrive una “vivanda di riso alla Lombarda”: riso bollito con cacio, uova, zucchero, cannella, cervellata e petti di cappone. Il colore giallo è dato appunto dalla presenza della cervellata, un antico insaccato aromatizzato con lo zafferano e utilizzato molto a Milano tanto che in dialetto i salumieri erano e sono ancora chiamati “cervellee” .
Una ricetta molto più simile a quella che viene seguita oggi si trova nel libro Cuoco Moderno edito a Milano nel 1809. Ecco come l’anonimo autore suggerisce di preparare il “riso giallo in padella”: cuocere il riso, saltato precedentemente in un soffritto di burro, cervellato, midolla, cipolla, aggiungendo progressivamente brodo caldo nel quale sia stato stemperato dello zafferano. Qualche anno più tardi, nel 1853, nel ricettario Il Nuovo Cuoco Milanese economico di Giovanni Felice Luraschi compare una ricetta per riso giallo alla milanese simile a quella seguita oggi e tra gli ingredienti figurano il battuto di cipolla e naturalmente burro e formaggio grattugiato. All’inizio del Novecento l’Artusi fornisce la versione definitiva della ricetta aggiungendo il vino bianco per dare un tocco di acidità e sgrassare il risotto.
Un piatto povero ma prelibato
Il termine cassoeula deriva dalla pentola in cui vanno fatti cuocere le verze e diverse parti del maiale: cotenna, piedini, testina, costine, salamini. Un piatto povero le cui origini sembrano legate alla tradizione contadina di festeggiare il 17 di gennaio, il giorno di sant’Antonio abate, la macellazione dei maiali. Un’altra leggenda lega invece il piatto alla dominazione spagnola. Si racconta che alla fine del Cinquecento un ufficiale dell’esercito spagnolo insegnò alla sua innamorata, cuoca presso una nobile famiglia milanese, questa ricetta che prevedeva la combinazione di carne di maiale e verza. Il piatto piacque moltissimo e si diffuse rapidamente, divenendo tre secoli più tardi la pietanza preferita del direttore d’orchestra Arturo Toscanini.
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